A Dalmine (BG), sono ancora presenti due imponenti ricoveri antiaerei risalenti alla seconda guerra mondiale: ieri preziosi manufatti contro il pericolo dei bombardamenti aerei, oggi testimonianza della drammatica incursione aerea del 6 luglio 1944. Nel luglio del 1939 un'apposita commissione di difesa antiaerea gestisce la progettazione e l’esecuzione delle opere di protezione, secondo le disposizioni di legge. Il territorio Dalminese viene suddiviso in “settori di esodo”, in ognuno dei quali vengono costruite trincee di ricovero. Anche la Dalmine da inizio alla realizzazione di due imponenti rifugi antiaerei, nei quartieri: Garbagni (capienza di ca. 500 persone), e Leonardo da Vinci (capienza di ca. 360 persone).
Costruendoli all’esterno della fabbrica e riservando parte dei loro spazi a favore degli abitanti dei due quartieri, quindi a popolazione civile, i vertici societari avrebbero avuto la possibilità di richiedere lo status di ricoveri pubblici, beneficiando di un concorso alle spese da parte dello Stato. Veniva pertanto presa la decisione di costruire due ricoveri all’esterno e in galleria sotterranea. Esternamente i due rifugi mantengono ancora oggi il loro aspetto originale anche se soltanto quello del quartiere
“Leonardo da Vinci” conserva ancora i caratteristici camini di aerazione. Le opere sono costituite da due gallerie rifugio di differente lunghezza: quella del “Garbagni” misura 60 metri, quella del “Da Vinci”, misura 45 metri, tutte e due ubicate alla profondità di 20 metri. Altri due ambienti riservati ai macchinari per l’impianto di ventilazione e antigas, di cui entrambi i rifugi erano dotati. Tra le caratteristiche di questo impianto c'erano le cosiddette “biciclette”, cioè degli elettroventilatori a quattro pedaliere che dovevano produrre un ricircolo forzato dell'aria. Il pavimento è costituito da piastre in cemento di 1 x 0,45 m, posate in modo da creare un'intercapedine di circa 20 cm tra il pavimento e il terreno. Grazie a questa caratteristica costruttiva, all'interno della struttura il livello di umidità risulta relativamente basso. I servizi igienici, collocati in corrispondenza dei vani scala, completano l’opera. Ogni manufatto dispone di una doppia possibilità di accesso e quindi di uscita, costituita da profondi pozzi, realizzati in laterizio pieno che conducono alla quota del ricovero. Le rampe di scala ruotano attorno ad un nucleo formato da una canna in cemento armato, destinata a contenere le tubazioni di ventilazione dell’impianto idrico e di quello per il sollevamento delle acque. Nel rifugio del quartiere “Leonardo da Vinci” si possono ancora osservare alcuni tratti dell'impianto elettrico originale e i resti di due cartelli che imponevano il divieto di fumare. Per la costruzione sono stati preventivati l’impiego di 10.000 q.li di cemento, 350.000 mattoni, 60.000 mattoni forati e 150 tonn di ferro. Inizialmente la costruzione di entrambe le opere venne affidata a una ditta di Milano, la Damioli che in data 9 febbraio cominciò le operazioni nel quartiere “Garbagni”, e subito dopo in quello del “Da Vinci”. Nel frattempo alla Dalmine pervennero nuove offerte più convenienti da parte di ditte concorrenti di Bergamo che, riuscirono a strappare l’appalto delle costruzioni alla rivale milanese. Alla Damioli subentrava, rispettivamente, l’Impresa Lanfranconi per il cantiere al quartiere Garbagni, e l’impresa Receputi per il cantiere del Da Vinci. Il preventivo di spesa veniva definitivamente approvato con la bella cifra di 2.050.000 lire per il “Garbagni” e 1.950.000 lire per il “Da Vinci”. L’esecuzione dei due imponenti rifugi prevedeva un impegno notevole sia sotto il profilo economico che sul piano delle risorse materiali e umane necessarie alla loro realizzazione. Per cercare di risolvere il problema si decise di ricorrere, come forza lavoro, all’impiego dei prigionieri di guerra del vicino campo di Grumello che accoglieva al suo interno militari ed internati di diverse nazionalità, in buona parte inglesi, francesi, greci e slavi. (il campo P.G. N. 62 di Grumello al Piano venne aperto nell'estate del 1941 in una località a pochi chilometri da Bergamo per internare prigionieri di guerra di grado inferiore, sottufficiali e truppa. Nel dicembre del 1942 aveva una capienza dichiarata di 3.000 posti-vedi DPG28). La mattina venivano trasportati a Dalmine utilizzando la linea ferroviaria Bergamo-Monza.
Alla fine di giugno del 1943, la costruzione dell’opera viva risultava terminata. L’accesso ai rifugi avveniva attraverso una gradinata che, dal piano stradale, conduceva all’ingresso del ricovero, posto a una profondità di -4,5 metri e che si apriva alla sommità dei pozzi. Le gradinate erano coperte da una struttura in cemento armato dalla forma arrotondata che aveva la funzione di proteggerle dagli spostamenti d’aria e da un’eventuale proiezione di detriti. La piastra esterna, posta a protezione della sommità dei pozzi di scala, aveva uno spessore di 2 metri e includeva la botola dell’uscita di sicurezza servita da una scala alla marinara in metallo. Incorporate nel calcestruzzo erano disposte le tubazioni di carico e scarico dell’aria dell’impianto di ventilazione e le relative prese esterne. Quelle di aspirazione, poste sulla sommità della piastra blindata, erano riparate contro gli agenti atmosferici da camini in lamiera. Ogni piastra protettiva ne recava due: infatti, per aumentare il coefficiente di sicurezza, la prima tratta delle tubazioni era realizzata in doppio e si sarebbe unificata solo al momento di entrare nel sottostante pozzo di scala. Per impedire a una bomba in caduta di infilarsi nel terreno nei pressi dei pozzi di scala, sotto il piano stradale si estendeva, per circa 3 metri, una spessa soletta sempre in cemento armato che circondava tutto il complesso esterno. Ogni rifugio era dotato di due scale a chiocciola, una per ogni pozzo che conducevano alla quota delle gallerie. Le scale erano dotate di corrimano e, ad intervalli regolari, un pianerottolo interrompeva la sequenza dei gradini. Il primo tratto delle scale costituiva anche il cosiddetto anti ricovero; in caso di utilizzo di armi a carica chimica, la chiusura delle doppie porte stagne di cui era dotato questo spazio avrebbe permesso di creare una sorta di camera d’aria fra l’ambiente estero e quello sottostante, migliorando così l’ermeticità del rifugio.
Il 6 luglio 1944, purtroppo, i due ricoveri anti bomba non riuscirono a prestare la loro opera a favore della popolazione. Quel giorno, durante il disastroso bombardamento, restarono desolatamente vuoti perché il segnale di allarme non venne diramato. I dipendenti dello stabilimento e la popolazione civile furono colti di sorpresa dalla pioggia di ordigni che cadde su di loro e, nessuno o quasi, fece in tempo a raggiungere le due strutture protettive.
Importante: i ricoveri antiaerei rappresentano un tassello importante nella memoria storica collettiva per quello che hanno significato per la popolazione civile. Pertanto non dovrebbero essere destinati all’oblio o, peggio, alla facile demolizione alla ricerca di spazi edificabili, ma preservati il più possibile, sia per il rispetto di chi quei tragici eventi li ha provati in prima persona, sia a monito delle future generazioni perché non possano ripetersi gli stessi errori di un passato non troppo remoto.
Il rifugio antiaereo del quartiere Garbagni è stato riaperto al pubblico nel 1994 in occasione del 50º anniversario del bombardamento. Oggi finalmente si riparla di restauro, ancora non ben specificato. Credo che la soluzione migliore sarebbe quella di creare all’interno, oltre che le condizioni il più possibile vicino all’originale, un museo sulla sua storia e sul bombardamento del 6 luglio 1944.
Particolari del progetto rifugio antiaereo quartiere Garbagni |
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Zona esterna ingresso rifugio | Impianto di ventilazione e filtraggio |
Galleria ricovero del rifugio | |||||||
Aggiornamento: Oggi genn 2021 è iniziato il recupero del rifugio Garbagni
Bibliografia: Notizie dal Web - Memorie di un recente passato di A.Thum |